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Agroalimentare: per la tenuta del comparto necessari 150 mila nuovi lavoratori entro il 2030

Dalla rassegna “Percorsi sostenibili” a Torino, all’interno del Festival dello sviluppo sostenibile dell’Asvis, arriva la previsione della Cia: “Abbiamo l’età media degli addetti nel settore più alta del mondo”. Più del 50% oggi ha 60 anni, con il ricambio generazionale fermo sotto il 7% si profila una sofferenza della forza lavoro.

Il valore dell’agroalimentare del nostro Paese supera i 240 miliardi di euro. Circa 50 miliardi è il peso della produzione agricola e quasi 38 miliardi è il fatturato dell’export. Numeri che si completano con quelli riferiti alle eccellenze prodotte: più di 280 cibi e oltre 520 vini a marchio tutelato e certificato. Una ricchezza per l’Italia, generata dal lavoro quotidiano di oltre 1,2 milioni di addetti. Performance importanti che indicherebbero d’investire nel settore per migliorare ulteriormente i valori, impegnando nuovi lavoratori. Invece nei campi il ricambio generazionale è fermo sotto il 7%, con gli addetti attuali che per oltre il 50% hanno compiuto 60 anni.  Questo lo scenario che ha rivelato la Cia-Agricoltori Italiani nel corso della rassegna “Percorsi sostenibili” a Torino.

Un’intera giornata all’interno della Galleria Umberto I, inserita nel più vasto Festival dello sviluppo sostenibile promosso dall’Asvis che si concluderà il prossimo 7 giugno. Proiettando questa tendenza occupazionale nel settore fino al 2030 –ha spiegato il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino- considerando uscite e nuovi ingressi, verrebbero a mancare circa 150 mila unità. Tra questi, occorreranno diversi profili professionali, perché l’agricoltura e l’agroalimentare si sono evoluti. Serviranno, ad esempio, informatici, esperti di marketing, oltre ad agrotecnici, agronomi e operai specializzati. Per non parlare nell’indotto, dove il ventaglio di necessità specialistiche abbraccerà una platea ancora più vasta.

Da qui si deduce come il settore primario possa essere uno straordinario equilibratore del tessuto sociale, un luogo d’integrazione anche per gli stranieri. Perché -come ha evidenziato la Cia- l’agricoltura accoglie, lo fa da sempre. A fronte di qualche, raro e isolato, caso di sfruttamento che lede l’immagine di tutto il comparto, esistono migliaia di storie di migranti che nel nostro Paese si sono, giustamente, creati una posizione: sono oltre 20 mila le aziende che hanno un titolare non italiano. Ma gli esempi virtuosi fanno meno notizia del caporalato.

La scelta di organizzare questa rassegna oggi a Torino -ha precisato la Cia- simboleggia la nostra adesione verso una strategia nazionale che deve traguardare il 2030 attraverso scelte sostenibili a 360 gradi. L’agricoltura, prima di altri settori, ha mostrato una sensibilità spiccata verso l’impatto ambientale, il risparmio di risorse naturali. Basti pensare che in venti anni le aziende agricole biologiche in Italia si sono più che quintuplicate, ora sono ben 60 mila.

 

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