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Covid 2020 la pandemia vista al femminile, testimonianze dall’Italia.

CLAUDIA SORLINI
PRESIDENTE CASA DELL’AGRICOLTURA

L’origine della spiccata sensibilità delle donne per il tema dell’alimentazione si perde nella notte dei millenni: alle donne si riconosce il merito di aver “inventato” l’agricoltura con la domesticazione delle sementi e la cura dedicata alla produzione del cibo. Il contributo delle donne in tutte le scelte è fondamentale non tanto perché siano necessariamente più brave degli uomini ma in quanto sono in grado di portare esperienze e sensibilità diverse da quelle dell’uomo .In questo modo contribuiscono a rendere i processi decisionali più rispondenti ai bisogni. Per questo ritengo che sia importante che le donne siano presenti con autorevolezza in tutti i contesti, dalla famiglia ai massimi livelli dello Stato, contribuendo collegialmente alle decisioni e alle scelte. Purtroppo ancora tanta strada c’è da percorrere: le disuguaglianze di genere permangono anche da noi,a cominciare dal divario nella remunerazione; e ancora di più nella politica se si considera, per esempio, che solo il50% dei paesi hanno avuto una presidente di stato donna e che l’Italia appartiene all’altro 50%. La donna rurale in tutto il pianeta è una colonna portante dell’agricoltura di famiglia che produce più del 70% del cibo destinato all’alimentazione umana. E nei paesi invia di sviluppo 450 milioni di piccoli e piccolissimi agricoltori e agricoltrici nutrono (come possono) quasi 3 miliardi di persone. In Italia le donne imprenditrici in agricoltura sono il 30%, ma diventano quasi il 37% quando si passa all’agricoltura multifunzionale nella quale la produzione non è l’unico scopo, ma viene associata alla erogazione di svariati servizi: agriturismo agri-nido, stage peri i giovani, fattorie didattiche, agricoltura biologica, svago. Si tratta di un modello di agricoltura che le donne hanno fortemente contribuito a sviluppare, che piace anche ai giovani, e che offre opportunità di lavoro superiori a quelle delle altre aziende. Ma il ruolo delle donne in agricoltura è ancora più evidente se si considera la loro attenzione alla sostenibilità ambientale, alla biodiversità, alla fertilità dei suoli, alla riduzione di scarti, sprechi e al contenimento dei prodotti agro-chimici. Forse non è un caso che il concetto di sostenibilità in senso compiuto, cioè in quanto sostenibilità non solo economica, ma anche ambientale e sociale, sia stato elaborato da una donna, Gro Harlem Brundtland, presidente della Commissione delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo nel rapporto “Il nostro comune futuro”(1987). Il rapporto Brundtland segnalava appunto i gravi danni all’ambiente CLAUDIA SORLINI PRESIDENTE CASA DELL’AGRICOLTURA causati dal modello di sviluppo e le grandi diseguaglianze sociali che dovunque si riscontravano. D’altronde anche la lotta agli sprechi, a cominciare da quelli domestici, è sempre stato un campo di impegno al femminile, che però ora ha assunto una dimensione globale sostenuta dalle grandi istituzioni e che in Italia può contare su una legge(L.166/2016) che, anche questo forse non è un caso, porta il nome di una giovane donna come prima firmataria, l’On. Maria Chiara Gadda. Alcune indagini di tipo sociologico mettono in risalto la maggior attenzione delle donne agricoltrici alla tutela delle tradizioni, del paesaggio e alla qualità della vita e su questa base attribuiscono alle donne rurali una visione umanistica dell’agricoltura. Se da un lato ritengo che questo sia verosimile, dall’altro però ciò non toglie nulla all’interesse che esse esprimono per l’innovazione e per la sperimentazione. Basti pensare alle agguerrite donne del vino, del riso, delle filiere latte ecc pronte a adottare nuove tecnologie e a sperimentare nuove varietà migliorate sotto il profilo della qualità e resilienti al cambiamento climatico. Infine mi piace ricordare la tenacia e la combattività delle donne rurali, le loro battaglie e le loro vittorie, come quella recente delle “Donne in Campo” sui finanziamenti a tasso zero riservati all’imprenditoria femminile. Se durante il lockdown abbiamo potuto continuare ad avere il cibo necessario sulla tavola, se nel marasma che bloccava tutta l’economia il settore agro-alimentare è stato vissuto come, se non l’unica, almeno la più importante certezza, lo dobbiamo al mondo dell’agricoltura e della trasformazione e alle donne che vi fanno parte.

MARINA GALATI
ASSOCIAZIONE COMUNITÀ PROGETTO SUD VICEPRESIDENTE CNCA

 L’esperienza del lockdown è stata attraversata da silenzi e isolamenti, paure e sofferenze che hanno lasciato tracce profonde. Rinchiusi fisicamente dentro la nostra cerchia abitativa e a distanza dal resto delle nostre relazioni e luoghi sociali, l’incertezza ci è entrata dentro, scoprendoci tutti vulnerabili e bisognosi di protezione reciproca. Sono stati mesi in cui abbiamo vissuto la distanza fisica con l’altro con grande fatica, ma anche mesi di grande preoccupazione di cosa questo potesse significare oggi sulla crescita dei nostri bambini e sui vissuti emotivi e simbolici dei nostri adolescenti e giovani, ma soprattutto che cosa questo potesse significare per il loro sviluppo futuro. Le due frasi che ci hanno fatto quasi da mantra in questo periodo “Io resto a casa” e “Andrà tutto bene”, costantemente ripetute dai social e dalla testate nazionali e locali, non per tutti hanno impattato alla stessa maniera. Il confinamento ha reso le donne vittime di violenza ancora più vulnerabili e isolate, costrette a rimanere a casa alla mercé del proprio aguzzino, spesso corrispondente al marito o al compagno, limitando, fino quasi ad annullare, le altre relazioni sociali. La violenza di genere durante il lockdown Durante il lockdown, nel periodo marzo-giugno 2020,la crescita delle segnalazioni di violenze domestiche è cresciuta in modo esponenziale. Lo rivela l’indagine svolta dall’Istat che ha analizzato i dati dei servizi dello Stato per combattere la violenza di genere e lo stalking. Vi è stato, infatti,solo nel periodo che va dall’1 marzo al 16 aprile 2020 un aumento, rispetto l’anno precedente, di oltre il 73% di telefonate al numero verde 1522 (numero “rosa” dedicato ad accogliere le richieste di aiuto e sostegno alle vittime di violenza e stalking promosso dalla Presidenza del consiglio dei MinistriDipartimento Pari Opportunità) fino a raddoppiarsi con un aumento pari al 119% sull’intero periodo di lockdown. Analizzando i dati si nota un ulteriore aspetto e cioè che l’incremento delle richieste nei primi mesi di lockdown è connesso maggiormente alle campagne di sensibilizzazione che hanno fatto sentire le donne meno sole. Tuttavia, l’innalzamento delle richieste si evidenzia MARINA GALATI ASSOCIAZIONE COMUNITÀ PROGETTO SUD VICE PRESIDENTE CNCA soprattutto nei mesi successivi, in particolare nel mese di maggio e giugno e lo abbiamo riscontrato anche noi nel nostro Centro Antiviolenza di Lamezia Terme, in Calabria. A una prima diminuzione di richieste telefoniche di segnalazione per maltrattamenti tra marzo e aprile,vi è stato di contro un aumento considerevole di richieste pervenute al Centro nel mese di maggio e giugno. Non è che il fenomeno fosse scomparso, ma che le vittime probabilmente nello stato di confinamento, con la presenza e sotto il controllo dei loro aggressori, non riuscivano a chiedere aiuto. L’impennata di denunce nei due mesi successivi rilevano l’esasperazione dei conflitti, le tensioni dovute a lunghe convivenze forzate dalla pandemia che ne hanno aumentato l’intensità dei comportamenti violenti. Diversi nuovi casi durante questo periodo ci sono stati segnalati dalle Forze dell’Ordine, intervenute per alcuni episodi di violenza domestica. La preoccupazione nei confronti delle donne e dei minori vittime di violenza domestica è cresciuta in Italia anche attraverso le segnalazioni e le denunce costanti da parte dei centri antiviolenza e delle associazioni di categoria, le quali hanno evidenziato le conseguenze che il lockdown avrebbe potuto portare là dove sussistessero le condizioni di violenza domestica. In tal senso il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) ha emanato delle linee guida “Buone prassi operative per la migliore tutela delle donne maltrattate e dei loro figli” per permettere di reagire tempestivamente in caso di pericolo. Il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese ha chiesto a tutte le prefetture di individuare alloggi disponibili per accogliere in emergenza donne vittime di violenza visto che delle disposizioni per la pandemia da Covid-19 avevano limitato alcune attività dei centri antiviolenza e delle Case Rifugio, strutture queste ultime destinate all’accoglienza e alla tutela delle vittime di violenza nei territori. Difatti alcuni Centri, a causa della pandemia, hanno avuto delle difficoltà a rimanere aperti date le normative emanate da alcune regioni per rispondere all’emergenza sanitaria. Questo ha portato un coinvolgimento di persone, associazioni e organizzazioni che hanno chiesto che cosa fosse stato possibile fare insieme e come avrebbero potuto mettere a disposizione il loro aiuto e le loro competenze, pur essendo realtà sociali ed economiche che nel loro quotidiano personale e lavorativo si occupavano di altro. Credo che la solidarietà espressa durante la pandemia ha rafforzato la tenuta della società. Le relazioni sociali preesistenti sono state tutte messe in gioco e proiettate verso nuove interconnessioni e nuove forme di mutualità. La vita sociale e la comunità di cura si è ampliata e innovata, intrecciando disponibilità, forme di aiuto, capacità inespresse e riformulato nuove modalità di lavoro e di soluzione alle problematiche di un territorio. Ad esempio, il CNCA, una rete di Comunità di Accoglienza dislocata su tutto il territorio nazionale, e l’Associazione Donne in Campo della Confederazione Nazionale Agricoltura, hanno cercato di capire come, mettendo insieme le proprie specificità, avrebbero potuto dare risposte concrete alle donne vittime della violenza(dall’accoglienza alla promozione di percorsi di inserimento lavorativo, dall’intervento sociale e sanitario alla formazione in attività di agricoltura sociale). Il lavoro di rete del Centro antiviolenza Accompagnare una donna ad uscire da situazioni di violenza, specie quando questa viene provocata dal marito o compagno, ha una sua complessità tale da non poter pensare che un’associazione da sola possa rispondere a livelli diversi di intervento. Spesso è necessario un lungo percorso prima che le donne possano ritrovare la forza della denuncia. Affrontare il dolore e la vergogna nel dichiarare a sé stesse e alla propria rete sociale le violenze subite, l’ambivalenza tra amore e odio verso il partner, la paura dei vissuti dei figli o il rischio di perderli, gli aspetti economici e di sicurezza personale, sono dei forti deterrenti che frenano una donna sia nello sporgere una immediata denuncia che alla determinazione di una rottura definitiva. Chi opera con una donna violata sa che ci vuole tempo e pazienza; spesso durante il percorso di aiuto si fanno passi in avanti e altri invece portano la stessa a retrocedere nelle proprie scelte. Il nostro Centro Antiviolenza lavora in rete con tutte le istituzioni pubbliche e private coinvolte nell’aiuto alle vittime. Si offrono consulenze psicologiche, legali, sanitarie e sociali. Si opera in sinergia con le Forze dell’Ordine, le strutture sanitarie, le associazioni di donne avvocato, le strutture di accoglienza e le case rifugio. Il lavoro di rete svolto con i diversi soggetti sopracitati, ha permesso di realizzare interventi tra loro sinergici. Inoltre, è stata svolta nel tempo tanta formazione comune presso i presidi ospedalieri all’interno dei quali sono stati realizzati momenti formativi congiunti con diversi operatori sanitari. Il pronto soccorso rappresenta per l’intero sistema di protezione un punto nodale importantissimo: inviare una donna al pronto soccorso non è solo utile per ricevere di fatto un primo intervento di tipo sanitario, ma anche un luogo dove poter lasciare una traccia utile in caso di denuncia, nonché un luogo dove poter trovare operatori sanitari in grado di diagnosticare la differenza tra una caduta dalle scale a botte violente ricevute. È determinate avere donne avvocato professionalmente preparate sulla violenza di genere nell’accompagnare la propria cliente in un percorso giudiziario solitamente molto doloroso e tortuoso. In questi anni si è molto operato nel cercare di mettere insieme le varie professionalità, le competenze e le specificità delle organizzazioni e istituzioni non solo per realizzare interventi sinergici su ciascuna donna violata, ma altresì per attivare percorsi di prevenzione e di sensibilizzazione. Molto importanti sono i programmi fatti insieme alla scuola per far conoscere il fenomeno della violenza domestica e di genere ed entrare in contatto con gli adolescenti e i giovani che spesso assistono nelle loro case a scene di violenza. Non è un caso che,negli ultimi tempi, stiamo assistendo a giovani che si rivolgono al nostro centro per denunciare la violenza che subiscono le loro mamme. In particolare chiedono consigli e supporto. Storie differenziate, ma sempre di violenza rivolta alle donne. La violenza di genere è presente in ogni cultura ma certamente sussistono delle differenze per come le stesse vengono vissute e per i comportamenti messi in atto. Al Centro Antiviolenza negli ultimi anni arrivano anche donne di altre culture, alcune fanno richiesta di aiuto spontaneamente altre perché segnalate dalle forze dell’ordine. Le donne dell’est sono quelle che denunciano maggiormente, mentre le donne africane richiedono aiuto per lo più alla loro comunità e nello specifico alla rete della famiglia allargata. Altre violenze di genere si intersecano con le violenze dovute al fenomeno della tratta sessuale, pur sapendo che le caratteristiche sono differenti e gli impatti sono molto più complessi. Altro discorso lo abbiamo con le donne che si ribellano ai loro mariti e compagni dei clan della ’ndrangheta e vengono segregate, violentate e uccise barbaramente. Come sottolinea Linda Laura Sabbadini, la dirigente generale del Dipartimento per le Statistiche Sociali e Ambientali dell’Istat, la violenza di genere è un fenomeno trasversale, interseca le classi sociali e le aree geografiche e si allarga ad una dimensione internazionale. Lei sollecita con determinazione la necessità di avere a livello europeo un’indagine sulla violenza che debba essere obbligatoria per tutti i Paesi membri, come accade già per il lavoro o per le condizioni economiche. Come donne abbiamo il dovere noi tutte di sostenere chi viene violato e di denunciare chi commette reato, di accompagnare alla crescita e a un cambio di mentalità e cultura la nostra società, di disseminare, partendo dai nostri figli, il rispetto e il valore fondante di ogni persona e della sua dignità.

PINA TERENZI
PRESIDENTE DONNE IN CAMPO CIA
AGRICOLTORI ITALIANI

Lo status di Donna rurale ed imprenditrice agricola sta cambiando, oggi rileviamo maggiore professionalità delle imprenditrici che sempre più spesso si affacciano a questo mondo dopo aver conseguito studi e specializzazioni diverse proprio perché maggiore è la consapevolezza e (le opportunità rispetto al passato) di ciò che si va ad affrontare. Essere agricoltore oggi vuol dire fare i conti con molti fattori, bisogna conoscere l’economia e le sue basi, la fiscalità e ciò che comporta assumere una scelta piuttosto che un’altra, bisogna essere un po’ agronomi, un po’ enologi, un po’ veterinari un po’ economisti ed ecco che il campo delle competenze si allarga e coloro che hanno la fortuna di imparare sul campo queste competenze, magari perché provengono da una famiglia che ha sempre lavorato nel settore, le applicano e possono trovare lo slancio per proseguire un’attività già avviata, le altre acquisiscono le competenze con il tempo, con l’esperienza e la forza di volontà ma entrambi con il fine comune di proiettare l’agricoltura verso una visione più sana e sostenibile. I dati dicono che Il 43% delle persone che ruotano attorno all’azienda agricola sono donne… Donne che ricoprono ruoli diversi con pesi differenti… Il 37% delle persone che lavorano in azienda agricola sono donne, di queste il 39% ha la responsabilità giuridica della stessa (conduttrice) ed il 36% ne ha la gestione corrente e quotidiana (capo azienda) ma esaminando alcune caratteristiche delle aziende agricole al femminile possiamo tracciare il profilo della donna e della sua azienda: Spesso sono aziende con modeste dimensioni fisiche (5 ettari in media), sono aziende solide, con largo ricorso al lavoro salariato, utilizzano in modo creativo (fuori dai canoni consolidati) i «saperi di genere» in chiave economica (accoglienza, trasformazione del cibo, recupero delle varietà tradizionali, tutela della biodiversità ecc). Le aziende femminili hanno una maggiore propensione all’introduzione di innovazione in azienda, hanno maggiore sensibilità alla qualità e alla compatibilità ambientale e da qui una maggiore propensione alla sicurezza alimentare volta ad eliminare gli sprechi di cibo e di risorse; il loro ridotto ricorso al credito, oltre alla difficoltà nell’ottenerlo, è una scelta spesso dettata dalla volontà di «avere sotto controllo» la situazione economica; per questo le aziende femminili sono considerate più affidabili; hanno maggiore propensione ad un rapporto diretto con il PINA TERENZI PRESIDENTE DONNE IN CAMPO – CIA consumatore,incentivano le filiere corte e prediligono il contatto diretto con i clienti. L’agricoltura in Italia sta vivendo una nuova fase che a seconda dei territori varia e si modifica con una certa facilità, ci sono zone in cui l’attività agricola trova nuove forme di impiego e nuove risorse ed altre in cui non riesce neanche a decollare, considerando un piano regionale ad esempio nel centro Italia abbiamo maggiore concentrazione di aziende a conduzione femminile Lazio, Molise, Abruzzo, Campania ed altre dove la conduzione maschile fa da padrone nel nord Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Questi dati ci fanno riflettere molto in quanto sappiamo che a tenere in vita le aree rurali sono principalmente le donne che decidono di stabilirsi e stanziarsi in determinate aree e se costruiscono lì la propria azienda creano comunità e laddove c’è una comunità con servizi utili a tutta la collettività lo stato economico sociale di un territorio cambia. Questo fenomeno in alcuni territori sta contrastando lo spopolamento andando un po’ in controtendenza. A livello Europeo è un fatto incoraggiante che il numero di donne impegnate in agricoltura registri una crescita, sebbene piuttosto lenta. L’Italia è al 5 posto dietro Lettonia, Estonia, Lituania, Romania. Tuttavia il ricambio generazionale non sembra favorire l’aumento delle donne impiegate nell’agricoltura: solo il 4,9% degli agricoltori è rappresentato da donne under 35, mentre oltre il 40% delle donne che lavorano in questo campo sono over 65. Se il trend non cambia, nei prossimi anni il gap tra i generi potrebbe quindi crescere e questa distanza accentuerebbe i problemi dell’imprenditoria femminile. La visione di genere con la parità di salario ad esempio è un fattore che con la commissione femminile del Copa Cogeca stiamo affrontando in modo serio proprio per dare più opportunità alle donne di svolgere il lavoro agricolo in modo sereno ed adeguato. Nonostante tutto le donne sfamano il mondo ed allora qual è il ruolo femminile nell’alimentazione? Dall’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sulla fame nel mondo emerge che circa 795 milioni di persone soffrono ancora la fame. I più vulnerabili alla fame rimangono donne e bambini e secondo i dati dell’UNICEF di quest’ultimi ne muoiono troppi ogni minuto sotto la soglia dei 5 anni, un dato davvero allarmante. Secondo un rapporto della FAO inoltre i paesi che oggi affrontano una crisi alimentare sono raddoppiati rispetto al 1990.A fronte dei miliardi di tonnellate di cibo gettato nella spazzatura, c’è un miliardo di persone al mondo che non ha accesso a sufficienti risorse alimentari. Sempre secondo la FAO circa 1/3 del cibo prodotto e distribuito nel mondo si spreca: buona parte lungo la filiera alimentare a causa del malfunzionamento dei sistemi di produzione e milioni di tonnellate viene gettato nella spazzatura dagli individui. Di questo spreco nei paesi ricchi il 40% delle perdite avvengono nella fase di vendita e consumo quindi nel ciclo finale di un prodotto. Nei paesi a basso reddito le perdite invece avvengono nella fase successiva alla raccolta e durante la lavorazione industriale. Per limitare le perdite a monte della filiera agroalimentare si potrebbe assicurare la produzione di nuove ed antiche sementi da affidare alle agricoltrici che hanno dimostrato nelle loro imprese curiosità, voglia di innovazione. Per limitare lo spreco nella fase della lavorazione industriale bisognerebbe, specialmente nei paesi a basso reddito, innovare i processi produttivi attraverso il trasferimento delle conoscenze dai paesi più avanzati, apportare miglioramenti significativi nei sistemi logistici con investimenti mirati ad evitare lungaggini inutili che portano i prodotti all’inevitabile deterioramento precoce. Fra le cause di questo spreco di massa ci sono inoltre le cattive abitudini di milioni di persone, che non conservano i prodotti in modo adeguato. Per limitare lo spreco a livello domestico, quello su cui ognuno di noi può giocare un ruolo fondamentale, ci sarebbe bisogno di cambiamenti a livello culturale che riguarda innanzi tutto i più giovani ed è questo momento in cui la presenza delle donne diventa fondamentale, lo vediamo nelle fattorie didattiche, negli agriturismi, nelle scuole dove le donne fanno formazione ed informazione. Le donne fanno informazione e sensibilizzazione sulla tutela dei prodotti, sulla cura del territorio, sull’importanza del cibo incoraggiando ed insegnando tecniche del riuso e del riciclo mettendo in atto pratiche in grado di evitare lo spreco alimentare. Bisognerebbe incoraggiare i progetti di recupero alimentare nelle scuole in particolare nelle mense scolastiche, nelle mense aziendali e negli hotel, luoghi che più di tutti hanno più difficoltà ad evitare lo spreco. In tutto questo le donne svolgono un ruolo importante che siano esse imprenditrici agricole, madri, insegnati oppure soggetti che ricoprono cariche politiche, amministrative e/o di rappresentanza, la loro sensibilità è molto alta. Quando nella nostra ultima assemblea abbiamo parlato di Un “Patto per il Green Deal” con le agricoltrici al centro della transizione verde annunciata dall’Europa, volevamo intendere proprio questo, farci Promotrici della sicurezza alimentare, custodi di biodiversità e sostenitrici della tutela di paesaggio e territori, le oltre 200.000 imprenditrici agricole italiane vogliono essere in prima linea nella costruzione e nell’attuazione di questa rivoluzione green. Perché questo sia possibile “bisogna rendere protagonista il settore agricolo ma soprattutto, da qui al 2030, è necessario che questo passaggio venga accompagnato da due azioni: un grosso impegno in innovazione e ricerca e un grande piano di divulgazione, formazione e assistenza tecnica per affiancare gli agricoltori e facilitare il passaggio verso gli obiettivi prefissati”.

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