Aumentano le persone povere a Milano, anche se lavorano. Intervista a Don Massimo Mapelli, Direttore della Caritas Sud Milano e Presidente di Madre Terra Cooperativa Agricola Sociale di Zinasco (PV)
Chi sono oggi i nuovi poveri?
Questi ultimi anni sono stati molto difficili a causa della pandemia e il disastro economico
dell’ultimo anno e mezzo ha evidenziato che l’ascensore sociale nel nostro paese è rotto e che il divario socio-economico tra classi sociali continua ad ampliarsi.
I primi a scontare gli effetti di questa crisi sono i cittadini che vivevano in condizioni precarie
già prima della pandemia, che oggi sono ancora più poveri e che hanno ancor meno strumenti
e reti sociali di supporto per uscire da questa condizione.
C’è poi una nuova fascia di persone che si sono affacciate al mondo della povertà e quindi
anche al mondo degli aiuti che la risposta sociale mette in campo.
Quello che emerge dalle analisi dell’osservatorio Caritas, che offre servizi di sostegno al reddito
sia attraverso l’attività di aiuto alimentare rivolto alle famiglie e sia attraverso un aiuto per il
pagamento delle bollette, è che ai vecchi poveri si aggiungono coloro che pur avendo un lavoro
rientrano ormai in questa categoria, quella appunto dei nuovi poveri. Negli ultimi anni si è
ampliata di molto questa fascia di persone che si rivolgono a Caritas per chiedere un aiuto.
Il livello degli stipendi, infatti, è oggi così basso rispetto all’attuale costo della vita da non
permettere una vita dignitosa a molte famiglie italiane che peraltro, a differenza delle famiglie
di stranieri già abituate a vivere in condizioni precarie, vivono oggi il trauma di essere e sentirsi
poveri. Si affacciano poi al mondo delle risposte sociali anche diversi pensionati beneficiari della
pensione sociale (ovvero minima), che non può più garantire loro un tenore di vita dignitoso.
Quali sono i problemi più diffusi e correlati a questo nuovo quadro socio economico?
Un’analisi dei problemi più diffusi tocca senza dubbio il tema del lavoro, che in una città come Milano pare non manchi, ma si parla comunque di un lavoro che in buona parte dei casi è precario e sottopagato. A questo si affianca il tema degli aumenti del caro energia, il cui peso grava in modo sempre più incisivo sui poveri. Questo accade anche perché chi vive incondizione di povertà non può accedere alle possibilità di risparmio offerte dalle nuovetecnologie, che sono economicamente inaccessibili per questa fascia di persone. Da questo punto di vista sarebbe importante pensare a delle modalità per condividere i benefici delle comunità energetiche con chi ne è tagliato fuori.
Nella situazione attuale emerge poi un problema piuttosto diffuso, che è il fenomeno del
sovraindebitamento delle famiglie, un fenomeno di massa alimentato soprattutto in questi
tempi dalle diminuite possibilità economiche di molte persone e al quale sarebbe importante
saper dare risposta. La Fondazione San Bernardino cerca di affrontare questo tema
proponendo forme di sostegno, sotto forma di consulenza e di accompagnamento, ma anche
attraverso l’offerta di prestiti di microcredito per aiutare queste famiglie a uscire dalla loro
condizione di indebitamento. Quest’azione tuttavia deve fare i conti con una legge sull’usura e
l’indebitamento che è vecchia di 25 anni e che andrebbe riformata per renderla adeguata alle
condizioni socio-economiche attuali.
Un altro aspetto che emerge da questo quadro socio economico è il rischio che in una
congiuntura così difficile si inneschi una lotta tra gli ultimi e i penultimi, tipica nei momenti di
precarietà diffusa.
Quali sono le prospettive per i più vulnerabili?
Da persona che gestisce delle comunità per minori e che con questi minori ci vive, mi sento
di dire che paradossalmente è più tutelato un minore che vive in comunità, rispetto a
minore che vive in una famiglia fragile in un contesto periferico difficile. In questi casi la
povertà materiale è sempre connessa anche ad una povertà culturale. La situazione di
incertezza, deprivazione e devianza che caratterizza la vita di questi giovani è determinata
soprattutto dall’incapacità della famiglia di offrire strumenti di crescita e stimoli educativi
adeguati. Pensiamo inoltre cosa ha comportato la chiusura delle scuole e l’attivazione della didattica
a distanza per famiglie nelle quali i genitori non avevano le risorse e le competenze
tecnologiche per garantire ai figli il diritto di seguire le lezioni. Da questo punto di vista
sarebbe quindi importante riflettere sul ruolo del territorio e della comunità e investire su
una rete di presenze educative, di risorse e spazi rivolti ai giovani e ai loro bisogni
emergenti.
Parlando di vulnerabilità si parla anche di persone anziane. Il tema va trattato su due fronti,
quello della povertà materiale e quello dell’isolamento, fisico e relazionale. Occorre
ripensare a dei servizi per non lasciare sole queste persone, in particolare in seguito al
periodo di pandemia e lockdown che ha esasperato queste criticità, ha generato molta
paura e ha reso ancora più urgente un intervento in questo senso. Anche qui il ruolo del
territorio è di fondamentale importanza per far si che gli anziani non siano condannati ad
una condizione di solitudine.
Per quanto riguarda gli immigrati, è importante riproporre un modello di accoglienza
diffusa sul territorio, in piccoli centri dove è possibile garantire una presa in carico
adeguata e attenta ai bisogni. Un esempio virtuoso potrebbe essere il modello di
accoglienza adottato per gli ucraini che dovrebbe quindi essere esteso alle altre categorie
di migranti. Parallelamente sarebbe importante ripensare e mettere in campo degli
strumenti funzionali all’inserimento sociale. Un esempio in questo senso è lo Ius Culturae,
che permetterebbe di riconoscere la cittadinanza a molti giovani che hanno studiato in
Italia. Ritengo che la legislazione italiana sia troppo indietro da questo punto di vista e che
se non interveniamo corriamo il rischio di crescere una generazione di “orfani nella casa
dei diritti”, che difficilmente quindi in futuro sarà “figlia nella casa dei doveri”.
Povertà e criminalità di sussistenza, un legame che è sempre esistito. Oggi questo
fenomeno che dimensione ha preso e quanto può agevolare il radicamento dell’illegalità e
della mafia già presente sul territorio?
Abbiamo a disposizione un dato della Direzione Distrettuale Antimafia: durante primo
lockdown nella sola città di Milano ci sono stati 14.000 cambi societari. È un dato su cui
ragionare e che potrebbe suggerire che la criminalità organizzata abbia acquistato a buon
mercato delle società che vertevano in condizioni di difficoltà, esasperate e rese ancor più
strutturali durante il periodo del lockdown.Questo dato ci dice molto quindi sulla presenza e radicamento della criminalità organizzata sul territorio.
L’usura di stampo mafioso è una piaga che colpisce ogni anno più di 200.000 persone e
imprenditori italiani. Le organizzazioni mafiose usano questo strumento nei periodi di crisi
economica per appropriarsi d’imprese italiane in difficoltà e infiltrarsi silenziosamente nel
mercato legale, anche su richiesta d’aiuto degli imprenditori stessi. In questa prospettiva, un passaggio necessario appare quello destinato a rafforzare i nodi delle corde sociali di sostegno alle vittime con campagne educative e formative, dirette a sensibilizzare la società in relazione al fenomeno indagato, e fornire strumenti di
prevenzione e informazione rivolti a tutti i settori della società civile.
Sull’altro fronte c’è un’altra criminalità che si diffonde, la criminalità delle fasce giovani,
delle così dette baby gang. Questo fenomeno è particolarmente forte nei territori fragili
caratterizzati da assenza di opportunità, che causano esclusione e marginalità. Il crescente
divario socio-economico tra classi sociali fa si che l’area grigia di illegalità e criminalità
diffusa si consolidi e aumenti esponenzialmente, mentre la condizione di povertà
materiale, culturale ed educativa di molte famiglie fa si che molti giovani si trovino
sprovvisti di strumenti e risorse per crescere in modo sano e fare delle scelte per loro
stessi. Se ascoltiamo le storie di giovani componenti delle baby gang di San Siro ci
rendiamo subito conto che questi ragazzi sentono di non avere strade alternative, che
esiste anche un problema identitario (chi si sentono questi giovani quando mettono in atto
determinati comportamenti?) e di bisogno di appartenenza (al gruppo) che ci spinge a
riflettere sul ruolo degli adulti, delle agenzie educative e delle Istituzioni che, partendo dal
territorio devono essere in grado di dare risposta a questo problema attraverso un’azione
coordinata e diffusa.
La diffusa povertà, la maggiore richiesta di aiuto e le difficoltà per gli enti locali di dare
risposte. È a rischio la tenuta democratica del territorio perché le tensioni rischiano di non poter essere più controllate. Quale società ci aspetta e qual è a dir suo la strada
percorribile?
Di fronte al crescere di queste situazioni abbiamo una minor capacità di risposta da parte
delle istituzioni, non solo perché mancano i fondi per strutturare risposte adeguate a
queste criticità, ma anche e soprattutto perché il mondo delle risposte sociali è molto
settorializzato e per questo difficilmente in grado di dare risposte integrate, che originano
da una visione complessiva delle criticità emergenti. La strada percorribile a mio avviso può
essere imboccata se le persone, invece di chiedersi “come faccio io a cavarmela” si
chiedessero “come facciamo a cavarcela tutti insieme?”. Se non facciamo questo passaggio
saremo solo in grado di dare poche risposte, frammentate, in un’ottica di puro
assistenzialismo. Importante sarebbe quindi orientare gli interventi sociali in quest’ottica,
ovvero pensando a un modello di intervento sociale integrato e diffuso sul territorio, in
grado di strutturare risposte sinergiche e comuni ai diversi problemi che emergono. Anche
le istituzioni devono tornare a pensare in questi termini.
La strada percorribile poi ci richiede un’attenzione particolare alla visione che abbiamo
della società, da un punto di vista culturale. Oggi c’è un rischio e per spiegare di cosa si
tratta cito Papa Francesco, il quale ci mette in guardia rispetto al senso che il nuovo
capitalismo ha dato alla meritocrazia, strumentalizzata e usata in modo ideologico
diventando così una legittimazione etica della disuguaglianza. Intesa in questo modo “la
meritocrazia da una veste morale alla disuguaglianza, perché interpreta i talenti delle
persone non come un dono, ma come un merito, determinando un sistema di vantaggi e
svantaggi cumulativi. Ne consegue un cambiamento della cultura della povertà. Il povero è
considerato un demeritevole e quindi colpevole. E se la povertà è colpa del povero, i ricchi
sono esonerati dal fare qualcosa”.In questo senso quindi la strada percorribile implica uno sforzo da parte di tutti, un’azione che parte del basso, dai territori e dalle comunità e che sia capace di generare benessere,
ma anche e soprattutto un’azione delle istituzioni per far si che l’ascensore sociale riprenda
a funzionare e per far si che le disuguaglianze tra troppo ricchi e troppo poveri si riducano.